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Running stories

La Cresta (Ita)

Marwees  Appenzell Alpstein Visit Switzerland Alps Trail Running Shelter

Corro da diversi anni in montagna, e dopo tutto questo tempo ho imparato a conoscerla, a misurarla, ma soprattutto, esattamente come al nostro primo incontro, continuo a rispettarla. Un rispetto che non si traduce solo nell’ovvio senso civico di tenere puliti i sentieri sui quali cammino, di non contaminarla con cose che non le appartengono (vedi la buccia di banana ritenuta innocua perché rifiuto organico), di non inquinarla acusticamente con urla e schiamazzi… Insomma di lasciarla come l’ho trovata. Per rispetto della montagna intendo anche il fatto di temerla: In montagna la spavalderia, la superbia e l’arroganza non pagano.
È per questo motivo che la prestazione sportiva su sentieri tecnici né mi impressiona, né tantomeno mi intriga. Per intenderci, ad un video di Kilian Jornet che percorre a velocità umanamente impensabili le lame più temibili della Norvegia, preferisco di gran lunga uno scatto poetico di Alexis Berg, che racchiude, oltre ad una composizione fotografica incredibile, un aneddoto, una storia da raccontare, e non semplicemente una mera “flexata” per far vedere quanto si è forti e/o folli. Questo rispetto, che può anche essere letto come paura, anziché respingermi, mi attrae.

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Come dice il detto: “mountains are calling, and I must go”. Esiste questa necessità, questo richiamo della montagna che ti invita, come fosse un amico che propone una partita a tennis, lei invece ti offre una giornata nel silenzio e nella pace che solo la natura ti può dare. Un silenzio che permette di ascoltare sé stessi, guardare dentro di sé, facendo emergere i pensieri più profondi, che ci fanno capire molte cose sul passato, il futuro, ma, soprattutto, che può insegnartene altrettante sul presente.
Brividi, sudore, e gambe svuotate dalla fatica, e quella paura che tanto ci piace, come davanti ad un thriller particolarmente intrigante. Ovviamente non solo paura, ma anche fiato sospeso dinanzi ad un paesaggio maestoso, una sensazione di cuore pieno, e quel piacere dell’esclusività di uno spettacolo riservato solo a chi ha pagato il biglietto con il proprio sudore. E non ci sono scorciatoie per chi vorrebbe evitare la fatica. Si dovranno accontentare di foto pubblicate sui social.
Ciò che più mi seduce della mia compagna non è la scalata, a cui dedico gran parte dei miei sforzi; né la cima, che può essere considerata come punto di arrivo o di ritorno, in cui il grosso è stato fatto. La mia “thrill zone”, il mio cuore della pizza, la mia crema del bignè, rimane la cresta. Segmento in cui planare, senza pareti ai lati, in cui il nostro riflesso è quello di alzare le braccia ai lati, come se avessimo ali da spiegare. Certo, questo riflesso serve a mantenere l’equilibrio per non precipitare, ma forse è questo il nostro modo di volare.
La cresta è la ruota panoramica di un immenso luna park roccioso, sulla quale vediamo tutto con più chiarezza, dove i brutti pensieri pesano di meno, e il vuoto che ci circonda fa un po’ meno paura.

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